
In questo periodo sto effettuando delle ricerche sul Partito Comunista durante il fascismo per un mio nuovo progetto. Più precisamente, mi sto interessando alle storie dei militanti comunisti che hanno continuato la loro attività nella clandestinità nel Ventennio. Dopo la marcia su Roma il Partito comunista è stata l’unica forza di opposizione “funzionante”, l’unica dotata di una rete organizzatissima e capillare e la prima a capire la gravità del regime. I socialisti, i popolari e gli altri “aventiniani” sono rimasti praticamente immobili per quasi dieci anni.
Una delle mie prime letture è stata Un’Isola di Giorgio Amendola, si tratta di un libro che già avevo a casa, ereditato da mio padre. Ma era rimasto nella mia libreria per anni, completamente ignorato.

Giorgio è figlio di Giovanni Amendola, giornalista e politico napoletano, deputato del partito “Democrazia liberale” all’avvento del fascismo. Pur non essendo né comunista né socialista, Giovanni Amendola si oppone fermamente a Mussolini sin dall’inizio. Pagherà cara questa scelta, morirà infatti nel 1926 a causa di ferite inferte dalle squadre fasciste.
Naturalmente, questo sconvolgerà profondamente il figlio Giorgio, che ha solo 21 anni alla morte del padre. Decide di diventare comunista, ai tempi una vera e propria scelta di vita che segnerà il suo destino.
Il regime fascista diventa sempre più forte e, come molti dei suoi compagni, Giorgio Amendola emigra clandestinamente a Parigi, alla fine degli anni ’20, dove si trova la direzione del partito.
“Giravo a Parigi, riconoscevo le sue strade, imparai a conoscere le ragazze di Parigi. Un tipo nuovo di donna per me che venivo da Napoli, dove la frattura tra le ragazze del popolo, quasi sempre analfabete, e quelle della borghesia, anche della piccola borghesia, era totale, persino sul piano linguistico. Qualche esperienza a Napoli mi aveva dimostrato l’impossibilità di un rapporto tenuto con ragazze del popolo su un piano di parità umana. Restavo sempre il “signorino” e ciò dava al rapporto sessuale un carattere servile e degradante, che mi sembrava umiliante anche per me. Le ragazze di Parigi erano figlie del popolo, figlie di lavoratori anch’esse, lavoratrici, operaie, commesse, ma istruite e eleganti. Si avvertiva subito una solidità di una cultura di base, fornita dalle buone scuole laiche della Repubblica, anche dalle sole elementari.”
Nella capitale francese Amendola risiede sotto mentite spoglie, ufficialmente è uno studente, e lavora al fianco di Togliatti, Grieco e Terracini come redattore di Stato Operaio. Funge anche da “fenicottero” (un messaggero incaricato di recapitare documenti segreti utili al partito e alla lotta antifascista) svolgendo diverse missioni importanti a Cambridge, Berlino e nel Nord Italia.
Il 14 luglio 1931 Parigi è in festa, Amendola partecipa ai festeggiamenti dell’anniversario della presa della Bastiglia in un quartiere popolare. E’ qui che incontra, per caso, la donna della sua vita che si trova in compagnia della madre. Amendola la invita a ballare:
“Era un valzer veloce, difficile per me che non sapevo volteggiare ad un ritmo così incalzante. Accanto a me i giovani proletari facevano prodezze. Ero incantato dal fascino della mia compagna, una bellezza non sfacciata ed imbellettata, ma riservata e modesta con la sua faccia chiara e pulita, e che si rivelava lentamente, con una presa irresistibile. Le mani, fini e asciutte, rivelavano una gran forza interiore. Animata, come liberata dal peso di una vecchia costrizione, gli occhi accesi da una fiamma, si stringeva alle mie braccia, col suo corpo agile e solido, in un abbandono fiducioso. Fu un amore a prima vista, non una favola romanzesca, ma la base della nostra vita. Sono passati 49 anni, io scrivo, lei dipinge, siamo invecchiati insieme, ma è tutto nato allora, in quella calda festa popolare.”
I due si frequentano assiduamente ma la ragazza non è stupida e intuisce che lui nasconde qualcosa:
“In fondo non so quale sia il tuo vero nome. Ti fai chiamare Galassi, ma non ho visto il tuo passaporto. Cambi sempre domicilio, a casa tua non posso venire, e tu conosci tutto di me”. Era un discorso serio. Stavamo sdraiati su un prato del Bois de Boulogne. Feci finta di offendermi per la mancanza di fiducia. “Se vuoi vedere il mio passaporto, eccolo!” E glielo porsi. “Non c’è bisogno, mi basta il tuo gesto”. Tirai un sospiro di sollievo. Sul passaporto il cognome era effettivamente Galassi, ma figuravo come un muratore, sposato e con ben quattro figli!”.
Nel 1932 viene incaricato di effettuare una missione in Italia, la situazione del Partito è drammatica, la maggioranza dei dirigenti e dei militanti attivi comunisti sono finiti nella rete dell’OVRA. Tornando in Italia, Amendola decide di fermarsi in Svizzera da Romain Rolland, grande amico del padre, per chiedergli di lanciare un appello a tutti gli antifascisti.
Prima di partire svela la sua vera identità a Germaine, dicendole che vorrebbe sposarla ma non può. I due decidono che andranno a vivere insieme al suo ritorno, presumibilmente il mese successivo.
Amendola lascia Parigi il 3 giugno 1932, la visita a Rolland, già vecchio e malato, vicino a Ginevra non si conclude come spera: “La mia richiesta lo mise in evidente imbarazzo. Manifestò una legittima riserva, promise di farlo, ma dovevo lasciargli il tempo di riflettere”. Il viaggio continua verso Milano, dove il giovane comunista non segue il protocollo previsto per prendere contatto con il compagno Boretti (gli telefona mentre avrebbe dovuto mandargli una serie di cartoline con messaggi in codice) e viene così scoperto dagli agenti dell’OVRA e arrestato. Trascorre un primo periodo in isolamento nel carcere di San Vittore prima di essere trasferito a Roma. Amendola riferisce di aver ricevuto un trattamento di favore, “ero trattato coi guanti”, in fondo Amendola era pur sempre figlio di uomo importante, proveniva da una famiglia alto borghese e intellettuale. Non venne quindi malmenato come invece lo furono brutalmente i suoi compagni “figli di nessuno”; il regime temeva gli scandali.
“Ebbi il permesso di scrivere a casa. La prima lettera fu per zio Mario. Non chiedevo aiuto, ma gli annunciai che a Parigi mi ero fidanzato, diedi l’indirizzo di Germaine, e lo pregai di farle sapere che cosa mi era capitato. Il pensiero di Germaine era assillante. Come avrebbe preso la mia sparizione?”
Questa prima lettera viene censurata e non arriva mai a destinazione, per fortuna il quotidiano francese L’Humanité pubblica la notizia del suo arresto con foto. Germaine riesce a prendere contatto con il carcere e inizia così una lunga corrispondenza tra i due fidanzati.
“Iniziavano ad arrivare i pacchi, uno particolarmente gradito, inviato da Germaine, con un maglione fatto a mano, troppo largo, ed un pacco di dolci, anche questi preparati da lei, sminuzzato alla mia presenza e poi sequestrato. Mi fecero mangiare un solo biscotto, ottimo”.
Qualche mese dopo Amendola viene scarcerato grazie a un’amnistia e condannato a cinque anni di confino all’isola di Ponza.
“Germaine manifestò subito la sua volontà di ottenere il permesso di raggiungermi e di sposarmi”, e così la giovane parigina che non aveva mai lasciato la propria città, arrivò sull’isola dove il 10 luglio 1934 si celebrò il matrimoni civile.
“Al porto di Ponza c’era la folla delle grandi occasioni. Tutti, confinati, militi ed agenti, carabinieri, molti ponzesi, voleva vedere arrivare la “parigina”. Allora nella fantasia popolare sopravviveva il mito della parigina “libera ed elegante che per cinque franchi ti fa vedere le gambe”. Germaine aveva sofferto di mal di mare ed era scesa a terra bianca e tremante.”
La giovane coppia si sistema in una semplice casetta dell’isola alla quale avevano diritto i confinati sposati, presto Germaine rimane incinta.
“Non avremmo voluto figli in quelle condizioni; ma le precauzioni, con i rudimentali mezzi dell’epoca, non erano state sufficienti. Ed a un aborto non si poteva ricorrere, Ci sentivamo presi dall’angoscia davanti a quell’evento impresto. Eravamo nelle mani degli altri”.
L’abitazione era spesso messa a soqquadro dagli agenti per il minimo pretesto. Germaine, non sapendo come affrontare la gravidanza in quelle condizioni, chiede alla madre di raggiungerla. La suocere di Amendola arriva a Ponza, e si conquista subito le simpatie degli altri confinati, che alludendo ai suoi modi semplici e autoritari, spesso commentavano i fatti del giorno chiedendosi “Cosa dirà Madame Lecocq?”
Nonostante le condizioni precarie, Germaine ottiene il permesso di andare a partorire a Roma dove nasce la piccola Ada. Trascorrono ancora qualche anno a Ponza, poi Germaine torna con la piccola e con la madre a Parigi. Amendola intende infatti pianificare una fuga e vuole prima mettere la famiglia al sicuro, Il piano va a buon fine e trascorreranno la fine degli anni 1930 a Parigi. Gli anni a seguire sono bui e dolorosi, tutto sembra perduto, Amendola è uno degli ideatori dell’attentato di via Rasella.
Nel Dopoguerra Amendola torna in Italia dove è uno dei principali dirigenti del PCI, membro della Costituente e deputato dal 1948 al 1980. Una vita piena di soddisfazione ma anche di grandi dolori, la figlia Ada muore infatti precocemente prima dei 40 anni.
Ma l’amore folle tra Giorgio e Germaine è infinito, stanno sempre insieme, nonostante tutto. Un amore che ha superato frontiere, dittature e ideologie. I due moriranno a un solo giorno di distanza, nel 1980.

Une histoire magnifique !