
Ma perché si chiama DAD se poi deve occuparsene MUM? Questa la considerazione ironica con cui molte mamme cercano di smorzare l’ansia di questo secondo lockdown, arrivato a un anno esatto dal primo.
È vero, ci sono anche i papà che aiutano a stabilire i collegamenti, a scoprire che le credenziali sul registro elettronico sono sbagliate (succede quotidianamente) e, di conseguenza, a lanciare SOS sulle chat di classe, che questi giorni possono essere riassunte con queste tre frasi:
“Ma voi siete entrati?”
“Nel codice di inglese il primo carattere è uno zero o una o?”
“Potete avvertire la maestra che Giulia non è ancora entrata?”
Ma si tratta, appunto, di eccezioni. Nella stragrande maggioranza dei casi sono le madri a occuparsene, lo dimostrano senza appello i dati di disoccupazione dello scorso anno che hanno colpito le donne in una proporzione superiore al 90%.
È un’evidenza, se le scuole chiudono, qualcuno deve rimanere a casa con i bambini e il lavoro della donna si rivela quasi sempre quello più sacrificabile, come riassume alla perfezione un’utente di un gruppo Facebook dedicato alla maternità:
“Ho due figlie: la grande fa la didattica a distanza la piccola no; la grande fa tantissimo, in media sei-otto ore al giorno e la devo seguire, di conseguenza non posso andare a lavorare per stare con le bambine (lavoro in proprio ho un piccolo bistrot con mio marito, va lui da solo, tanto già stavamo facendo il lavoro di 6 persone in 2 per mancanza di clienti… Sono avvilita.”
Certo, se questa madre anziché una lavoratrice autonoma, fosse stata una delle dipendenti statali immediatamente garantite da uno dei primissimi provvedimenti del governo Draghi forse sarebbe meno avvilita.
Chi può assume una babysitter ma, anche questo non è semplice come potrebbe sembrare:
“Ho dovuto prendere una tata che non conoscevo e lasciarci sola mia figlia a partire da stamattina, conciliare orari e lavoro, rischiare mettendomi in casa un’estranea, farmi aiutare da mia suocera che ha fatto solo la prima dose di vaccino”….
Insomma, c’è poco da fare la chiusura delle scuole porta ansia e frustrazione.
E i bambini come la stanno vivendo?
Ieri ho fatto i compiti di scienze con mio figlio, doveva studiare la comparsa della vita sulla Terra, l’ho fatto ripetere e mi sembrava preparato. Eppure, oggi, quando la maestra lo ha interrogato ha fato scena muta e appena concluso il collegamento, è scoppiato in lacrime.
“Mamma non sentivo la maestra e non capivo quando dovevo parlare. C’erano rumori strani”….
Per i più piccoli e i più timidi non è facile parlare tramite le piattaforme video e anche la maestra più brava non riesce a rassicurare e ad accompagnare come lo farebbe in presenza.
E se volessimo vedere il bicchiere mezzo pieno? Indubbiamente rispetto all’anno scorso siamo tutti più preparati. La nostra scuola ha reagito immediatamente e già la domenica sera avevamo gli orari e le credenziali.
Anche i ragazzi sono in media più abituati, ad esempio mio figlio grande, che frequenta la prima media si collega in autonomia e guai ad entrare in camera sua durante una lezione!
Inoltre, personalmente, sono molto meno spaventata. A marzo 2020 vivevo il lockdown con grandissima angoscia mentre ora conosciamo meglio il nostro nemico e come contrastarlo.
Certo è che nessuno di noi poteva pensare che dopo un anno ci saremmo ritrovati nella stessa situazione. Il sentimento che prevale è l’insofferenza per una condizione dalla quale non vediamo ancora l’uscita.
Eppure, alcune mamme dei gruppi trovano anche dei lati positivi:
“No, l’anno scolastico non è finito ma, forse, è cambiata “solo” la modalità. I nostri nativi digitali stanno crescendo e studiando digitalmente e, in futuro, trarranno vantaggio da questa alfabetizzazione informatica forzata. Certo, sembra il caos, ma raramente le rivoluzioni avvengono in maniera pacifica. Sono felice di aver fatto un figlio prima del Covid e il mio pensiero è più per le mamme in attesa che, come me, hanno una gravidanza a rischio e non possono essere seguite bene o come vorrebbero. Per tutto il resto, la vita è fatta di imprevisti e il Covid lo è!”.
Oppure:
“La situazione è orrenda e a volte non ci dormo la notte, ma sono fieramente riuscita a coglierne un’ottima opportunità. Essendo in cassa integrazione da più di un anno, riesco ad occuparmi meglio e con più serenità dei miei cuccioli.”
In ogni caso possiamo dire che neanche quest’anno la scuola non sia una priorità come non lo siamo noi madri. Se nel governo ci fossero più donne, si sarebbe arrivati a un’altra modalità di affrontare questa situazione? Difficile dirlo.
Io mi limito a constare che in Italia avere un figlio e soprattutto, crescerlo, è considerato un atto privato, non come un vantaggio per tutta la famiglia umana. In fin dei conti forse sarebbe veramente più giusto chiamarla “MUM” invece di “DAD” dato che le donne sono così duramente colpite dalle restrizioni dovute alla pandemia.